La fortuna offre una mano alle due losangeline che escono da un momento poco brillante, specie in trasferta, e si rilanciano riuscendo a fare risultato contro due formazioni vincenti ma prive del miglior giocatore, e cioè Tony Parker che si trascina dall’All Star Game un problema alla coscia che ha rallentato il ritmo degli Spurs, la squadra di febbraio con una striscia di 11 successi consecutivi, e per dolori alla schiena di Kevin Love, la double-double machine dei Lupi di Minnesota e in corsa per il titolo di MVP della stagione quale 4° marcatore (25,8 punti) e 2° rimbalzista (13,8).
Senza Parker, San Antonio rispolvera Manu Ginobili (22 punti) e mette in quintetto Gary Neal, il fuggiasco della Benetton, top scorer del campionato italiano e oggi giocatore fondamentale per coach Popovic. Gli Spurs senza il loro match-winner vanno a briglia sciolta, ne approfittano le due guardie Chris Paul e Mo Williams per segnare 69 punti, più della metà per portare i 2 punti fondamentali dopo un deludente 4/6 nelle ultime 10 gare ed evitare il nuovo sorpasso dei Lakers che vince invece con 34 punti di Koby Bryant, sempre in maschera per la frattura al naso, con una buona gara di Minnesota col rientrante Pekovic protagonista assoluto, unico slavo rimasto a tenere alta la bandiera di un basket declinante, oltre alla doppia-doppia di Ricky Rubio (15 punti e 10 assist).
I Clippers di coach Del Negro, l’oriundo italiano che giocò nella Benetton, fanno leva su un Chris Paul in vena di riscatto dopo l’ultima sciagurata gara, contro i texani contro i quali hanno perso le prime 2 gare. Obiettivo riuscito con 36 punti e 11 rimbalzi per il giocatore protagonista del mercato e della scalata dei Clippers che è stata spezzettata dalla perdita per tutta la stagione di Chancey Billups, più il record in carriera di Mo Williams, 33 punti, 7 missili su 9, anche lui come il compagno Paul bassotto del club del “Metro e 80”. Clippers col turbo, dunque, con una minor “incidenza” di Blake Griffin che ha mancato di un soffio (15 punti, 9 rimbalzi) la doppia-doppia abituale.
Da parte loro, i Lakers archiviano il 3/0 in stagione contro i Lupi azzoppati e il 18° successo consecutivo, anche se a Minneapolis tutto era pronto per festeggiare la crescita dei loro beniamini e fare un passo avanti in classifica, mentre l’assenza di Love crea un nuovo contraccolpo e con 21/20 perde l’8° posto dove, pensate, si colloca Houston reduce da 5 sconfitte.
Le oscillazioni importanti di classifica, del resto, sono all’ordine del giorno, e per l’ennesima volta dopo essere passata al comando con la sconfitta di Chicago, Oklahoma paga oltre al problema del centro, surrogata dal portiere del basket Sergi Ibaka (6 stoppate, tanto per cambiare…) la sindrome da n.1 del ranking contro una squadretta di giovani, illuminata da Kyrie Irving, il n.1 del draft e miglior matricola della stagione che in una serata di tiro incerto (4/12) si conferma l’icona del perfetto play, con 12 assist e 6 rimbalzi. Totale 51 per Cleveland e senza il centro titolare Varejao, che confermano quale sia il tallone d’Achille dei Thundercity che a coronamento di una serata da scordare perdono 17 palloni, segnano solo 6 tiri da 3 su 24 con 42 punti totali fra Durant (23) e Westbrook (128) che spesso viaggiano sopra fra i 50 e 60 di media.
Nonostante con 13 assist (oltre a 20 punti) Jeremy Lin sia stato il migliore della giornata nell’arte del passaggio, i Knicks non ne hanno approfittato per vincere a Milwaukee, la squadra di Andrew Bogut sempre fuori e prossimo al trasferimento per il suo cattivo rapporto con coach Skyles. I Bucks ringraziano Mike Dunleavy, 25 punti, figlio di un padre illustre, e n.3 del draft 2002 quando vinse il titolo NCAA con Duke. JR Smith si è cacciato nei guai da solo, ha giocato solo 18 minuti frastornatissimo per la storia di uno suo post su Twitter a fianco di una donna seminuda. Mike D’Antoni ha provato a metterlo in quintetto, peggio di andar di notte, e così l’ultimo arrivato (dalla Cina) dei Knicks ha dovuto ammettere laconicamente:
“Devo smetterla di fare cazzate, e cominciare a concentrarmi più sul gioco”.
Da ultimo, ormai non fa più notizia Dallas che ha perso a Sacramento, una squadra di bassa classifica che si è rianimata con la notizia della costruzione della nuova Arena, e che dimostra di aver fatto una scelta indovinatissima con Isiah Thomas, solo n.60 dell’ultimo draft. A proposito di figli d’arte, nulla a che fare con la star dei Pacers. Il padre, che di cognome fa Thomas, lo chiamò Isiah dopo una scommessa con un amico durante una partita di basket, sarà la potenza del nome ma Isiah Jamar Thomas col suo 1,75 è una delle scoperte della stagione, con 9,2 punti, 3,5 assist, 2,2 rimbalzi e ispirato la prima vittoria dopo ben 10 sconfitte, perché i texani non perdevano a Sacramento dall’11 gennaio ’99 e all’inizio di stagione avevano subito una sconfitta-record (60-99) contro i campioni ormai scaduti a squadra di centro-classifica, per varie ragioni: la partenza di Tyson Chandler e l’arrivo di Lamar Odom. L’ultima gara sono stati un pianto Vince Carter (nessun punto), jason Kidd (2/8), Beubois (1/6) e naturalmente Odom che, per dirla con una battuta, non si spezza e non si spiega.
Risultati venerdì 9 marzo: Filadelfia-Utah 106-91, Charlotte-New Jersey 74-83, Boston-Portland 104-86, Detroit-Atlanta 86-85, Oklahoma-Cleveland 96-90, Minnesota-LA Lakers 102-105, Milwaukee-New York 119-114, San Antonio-Clippers 108-120, Denver-New Orleans 110-97, Sacramento-Dallas 110-97