Crollo casalingo di Dallas e New York: è l’ora dell’addio. 3-0 per Oklahoma trascinato da Durant e per gli Heat con la conferma al Madison della crescita di Chalmers ormai il quarto tenore della sua squadra
“No NBA team has ever come back from a 3-0 deficit to win a best-of-seven series”.
Oklahoma e Miami vincono in trasferta e la regola del playoff ci ricorda che siamo già di fronte a due importanti verdetti, perché chi è sotto di 3 partite non è mai riuscito a recuperare . Inutile illudersi, anzi si profila addirittura un cappotto, che nello slang sportivo americano si chiama “sweep”, il nostro “spazzar via”.
Niente da fare, nella gara decisiva Dallas e New York hanno offerto i loro attacchi spuntati, i nervosismi, le insicurezze derivanti da tutti i problemi nati fin dalla costruzione della squadra. Ombre pesanti che le hanno inseguite minacciose per tutta la stagione. Per i Mavs gli errori di mercato, la cessione di Tyson Chandler e Barea e l’aver puntato su Odom, che ha lasciato ai Laker la testa e le energie trasformandosi in un caso spiacevole che ha rovinato la sua immagine di giocatore esemplare. Per i Knicks la mancanza di un play creativo che D’Antoni aveva individuato in Derion Williams, il cambio di allenatore dovuto all’ammutinamento di Anthony fino al pugno stupido di Stoudemire di gara2. Fatto quest’ultimo che ha tagliato definitivamente le gambe e creato un comodo alibi per la resa a una squadra già priva delle due guardie titolari, Jeremy Lin e Iman Shumpert, il turbo della squadra, che non poteva sperare di ribaltare la situazione con giocatori a fine carriera come Baron Davis, Mike Bibby o comprimari (di lusso?) quali Laundry Fields o il marine Novak , o un cecchino lunatico come JR Smith. Promuovendo prima della fine della stagione Grunwald general manager-vicepresidente, il presidente dei Knicks Dolan ha commesso un errore imperdonabile, e la gente si chiede se il suo protetto, coach Woodson, sia l’uomo giusto o se per i Knicks che vanno fuori puntualmente nei playoff al 1° turno da 10 anni non convenga puntare su un grande personaggio, perché la Grande Mela ha fame di un titolo chge manca ormai da troppo tempo.
Intanto l’immagine più crudele è quella di Dallas ginocchioni.
“Servono quattro vittorie, dobbiamo andare in campo e pensare ogni volta che sia il successo più importante, dobbiamo continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto, i Mavs sono orgogliosi, non regalano niente, noi dobbiamo guadagnarcelo da soli”
ammonisce però dopo aver vinto a Dallas coach Scott Brooks pensando alla gara4 di sabato. Come cinque anni fa, quando Miami dopo il titolo perse con i Bulls, i campioni rischiano di andare fuori al primo turno.
Dallas che l’anno scorso aveva preso slancio per vincere il suo sorprendente titolo dalla vittoria con i Thunder e quest’anno ha sfiorato due volte il successo nelle prime due gare, punita da un canestro di Durant nella prima e da un paio di azioni sfortunate nel finale della seconda, è crollata di schianto. E se la maschera gelida di Mark Cuban, il suo vulcanico proprietario, esprime ampiamente la sua delusione, coach Carlisle non è contento della marcatura di Durant (“ci ha saltato e segnato ogni volta…”) e si attacca all’errore dell’arbitro Marc Davis, lo stesso contestato da Rajon Rondo, nella prima parte della gara. Trattenuto a stento dai suoi vice, avrebbe voluto sbranarlo perché, non bastasse lo sfondamento di Harden su Carter, ben piantato nella sua posizione di difesa, la braccia ben incrociate come vuole la regola, ha considerato valida la correzione di Perkins sopra l’anello.
Mancavano 4 minuti alla fine del primo quarto, Durant aveva già cominciato a colpire, la reazione del coach, punito con un tecnico, è stata un boomerang. Difatti, i Thunder col canestro di Perkins e i 2 liberi di Westbrook per il tecnico si sono presi quei 10 punti di vantaggio (11-21) che hanno dato loro la fiducia necessaria per controllare la gara. Il replay ha comunque dato ragione a Carlisle, il quale però a mente fredda ha riconosciuto che “sebbene l’arbitraggio sia stato frustrante, non bisogna farne la ragione principale della sconfitta”.
E’ stata una vittoria netta, i Thunder hanno dimostrato una crescita di squadra, Derek Fisher ha mosso la palla, aiutato il più giovane Westbrook in regia, segnato 10 punti, si è vista insomma per la prima volta una vera utilità dell’ex leader dei Lakers arrivato a metà stagione assetato di rivincite. Harden scampato alla gomitata assassina di Artest deve ancora riprendere fiducia, ma resta sempre il miglioir sesto uomo della lega, mentre Ibaka è più del secondo miglior difensore, perchè ha marcato una doppia importantissima, 10 punti, 11 rimbalzi (il migliore della gara), oltre a 4 stoppate.
Oklahoma ha offerto anche la dimostrazione di aver migliorato la difesa, ma Dallas ha tirato male e il suo coach ha provato a mettere in campo tutti e 13 i suoi giocatori senza riuscire a cambiare di una virgola la situazione: Vince Carter (2/8) dopo una grande schiacciata è sparito, Nowitkzi (5/16) sotto il suo standard, Marion ancor peggio (1/8), con l’aggravante di partire nel quintetto, scomparso negli ultimi tempi Beaubois (1/6), mentre non si poteva chiedere a Brendan Haywood (1/4, 23 rimbalzi, sette minuti iniziali orribili, quelli del crollo) di diventare Tyson Chandler. Squadra al capolinea, da ricostruire ma come?. Jason Kidd ha ormai 36 anni, e il totem Nowitzky, splendido atleta, compirà i 34 anni il 19 giugno.
Per quanto riguarda il tracollo dei Knicks, rimarrà famosa la frase di Mike Woodson rubata dalle Tv quando il coach del dopo-D’Antoni pronunciò al momento di cominciare la partita d’esordio a Miami: “Ragazzi, la nostra corsa al titolo comincia qui”. Difatti, la risposta furono i 67 punti, che equivalgono come mediocrità i 70 punti del riscatto mancato al Madison. Le assenze non sono una giustificazione, Anhtony solo 7 su 22 contro i 42 punti della fantastica gara del 15 aprile, Miami ha vinto con un quartetto. LeBron si è scatenato alla fine, il suo coach l’aveva messo in panchina per i 5 falli e forse anche le troppe palle perse (8). Rientrato in campo è esploso: i suoi 17 punti sono la ragione del 29/14 dell’ultimo quarto e del bottino: 32 punti finali con 9/21, 2/5 da 3, 8 rimbalzi e 5 assist che ha ammutolito un Madison già rassegnato. E’ lui il MVP della stagione.
Micidiale le stoccate di Wade (8/17) ogniqualvolta la squadra ne aveva bisogno, Bosh ha fatto la spola fra New York e Miami con un aereo privato per assistere alla nascita di Jackson, e contro Haywood è stata sufficiente la sua presenza. L’uomo in più è stato Almario Chalmers detto Mario, 19 punti, 7/11, 5/8 da 3, 7 rimbalzi, 3 recuperi, non più solo la spalla di Wade. Quella guardia dell’Alaska, figlio di un allenatore e con altri due cugini nella NBA, alla terza stagione sta diventando un protagonista a dispetto del suo metro e 88 centimetri e il fisico leggerino. Quest’anno ha tenuto una media di 12 punti e 7,5 assist, è lui la vera novità della stagione. Certamente ha la stoffa del match winner, non è infatti nuovo a imprese del genere. Molti ricordano ancora il canestro da 3 finale del pareggio che nella finale NCAA 2008 permise a Kansas di battere Memphis nell’overtime in una delle finali più spettacolari mai viste.
Il Mario dell’Alaska è stato il quarto tenore compensando anche con la sua prestazione sorprendente i disastri della panchina. Miami infatti è riuscita a vincere nettamente non solo grazie agli errori dei Knicks (18 palle perse, 22/69 al tiro, 4/20 da 3), che dire infatti l’1/5 e i 4 punti di Miller e lo 0/0 di Battier, e l’1/12 totale dei suoi tre cambi?
Fine settimana intensissimo, con un doppio match nel giro di 48 ore a Boston fra Celtics e Hawks, a Denver fra Nuggets e Lakers e Filadelfia fra 76ers e Bulls. Ovviamente occhi puntati sui Bulls: riusciranno, dopo lo scivolone casalingo di gara2 e senza Rose, a rimettersi in carreggiata dopo essere stata la miglior squadra della NBA nell’arco di quattro mesi o hanno finito la benzina come l’anno passato?