Nelle semifinali di venerdì sul cammino della Spagna si para ancora la Russia fonte di due grandi delusioni, si rigioca Usa-Argentina ma senza più il pericolo di un ko come quello di Atene.
“Vi sembra che perdere di proposito una partita è dimostrare spirito olimpico?”. Come uno spettro sgradevole questa frase amara di Nicolas Batum nel dopo-gara di Francia-Spagna aleggia sulla fase finale del torneo di basket della XXX Olimpiade moderna che venerdì sceglie le sue finaliste fra Russia e Spagna e Stati Uniti e Argentina. E depositerà domenica la sua corona sul capo dei cavalieri della tavola rotonda dei canestri. Sarà l’ultima recita – autenticamente sportiva – di questo Bring Team a 20 anni di distanza dalla nascita del Dream Team di Barcellona che ancora rivive nei cuori e nei ricordi della gente, e il cui primo tifoso si dimostra Barack Obama il quale potrebbe giocarsi la rielezione grazie anche alla pallacanestro, per dire della potenza dell’elemento diplomaticamente più importante utilizzato dalla NBA per raggiungere un successo planetario che sta svuotando d’interesse i campionati nazionali del Vecchio Continente, ormai fornitori della real casa e restituzione (con gli interessi) del cosiddetto piano-Marshall economico, per le migliaia di contratti offerti agli scarti della Lega Professionistica di Stern.
Francia-Spagna voleva offrire il meglio del basket europeo, ha offerto il peggio. Ne è uscita una partita fra due formazioni balbettanti, sfociata addirittura in una sfida rusticana mal gestita da tre arbitri che dovrebbero cambiare mestiere. Che non hanno fischiato col metro dovuto, nè visto nè sentito abbonando due falli d’espulsione. Fischiando il primo, quello di Turiaf su Fernandez, non ci sarebbe stato il secondo, ancor più grave, di Batum su Navarro.
Fortunatamente, in omaggio al buon senso e all’efficace protocollo olimpico della stretta di mano fra i giocatori e il saluto al pubblico che il calcio dovrebbe copiare, non si è arrivati a una rissa che sembrava vicinissima. Qualcosa si è rotto in questa Olimpiade cestistica, e certo la Spagna se mai arriverà in finale, non avrà quell’appoggio popolare che tutti erano ben felice di dare a questa squadra. Non per il suo livello avanzato d’organizzazione, i progetti d’integrazione come “Casa Spagna” di Dakar ma in quando ultima bandiera, quando gioca bene, del miglior gioco europeo. Ormai un vero ibrido.
Per la Spagna questo isolamento non sarà un handicap. Anzi per il suo allenatore che passa di bocca in bocca come “el italiano”, trattato come un capitano di ventura, l’attacco concentrico sarà utilizzato come una molla psicologica per togliersi di dosso quell’ossessione che condizione la squadra da Pechino, di dover scalzare dal piedistallo il Dream Team. Una missione che nessuno ha richiesto agli spagnoli ma trasformata dalla sua potentissima federazione, quella che ci ha soffiato nel 2009 colsostegno del Governo e del Ministero del Turismo, l’organizzazione del Mondiale 2014 di Madrid, operazione che invece a noi italiani è costata soldi e amarezze.
Il destino di Sergio Scariolo, se guardiamo alla sua carriera, è in fondo quello di non essere collocato nell’immaginario per le sue capacità i suoi successi incontestabili, ad esempio i primi due europei vinti dalla Spagna nella sua storia che hanno contribuito nel post-Pechino ad alimentare la convinzione nata dalla sconfitta nella finale contro gli americani, che solo gli spagnoli possono battere il Dream Team. Se la sono cantata e suonata. Operazione, certo, di altissimo valore-marketing, per promuovere il prodotto “Basket Spagna” o NBA (con la cediglia sulla enne…) proprio in funzione dei mondiali madrileni, con la copertura del Santiago bernabeu che ci ha visti campioni del mondo nel calcio, che prevede qualche ritocco un po’ cinico, come il passaggio di consegne dal tecnico bresciano, in scadenza di contratto, a un allenatore di sangue ispanico, anzi catalano come Xavi Pascual.
Purtroppo nell’immaginario della pallacanestro Scariolo si è fatto la fama dell’uomo della provocazione. L’icona dello yuppie, l’invidiabile Sergiogel o “il Pat Riley dei noantri”come lo chiamano i colleghi. Colui che sale rapidamente la scala del successo (e lo monetizza), interpretando la sua professione in senso machiavellico, con la giustificazione più plausibile: il fine giustifica i mezzi. La stessa approvazione autoreferenziale che Machiavelli dava alle motivazioni del suo principe. La vita è una giungla, “Homo homini lupus”, “l’uomo è un lupo per l’uomo” come sostenevano Seneca e Hobbes. Se nell’odierna società i bravi e buoni vengono schiacciati conviene perciò non subire passivamente, e attaccare per primi. Tanto dopo tre giorni, almeno in Italia, si dimentica tutto.
Non sempre però la cosa funziona, spesso lascia residuati e rigurgiti pericolosi. Sergiogel si è alienato via via per arrivare al successo molte simpatie importanti e anche amici (sembra anche Ettore Messina, forse già in parola con Milano?) come è accaduto tante volte nella sua carriera fortunata (lo scudetto italiano e quello spagnolo, il doppio campionato europeo). Dove va, “adventures follows” come strillavano gli spot invitando la gente a partecipare alle avventure di James Bond.
Fra gli ultimi episodi, ne citiamo alcuni. Quando allenava il Khimki Mosca, innanzitutto le sue polemiche sugli arbitraggi russi condizionati dai poteri forti. Più recentemente, le sue accuse al sistema della Spaghetti League che gli ha dato la certezza di poter affermare, rientrando in Italia dopo alcuni lustri, di ritrovarsi nell’ambiente “rancido e incancrenito” di cui gli avevano parlato gli amici. Poi la polemica, sposata in maniera energica dalla sua società nel post-scudetto, ha puntato al bersaglio grosso, e solo in omaggio alle buone relazioni con gli spagnoli e alla sua cittadinanza italiana e non creare un caso diplomatico prima delle Olimpiadi, è stata congelata – grazie anche ai nostri ineffabili organi di giustizia dai tempi ritardati – una squalifica (simbolica) che comunque si troverà sul tavolo al rientro in Italia.
Gran finale, dopo essersi destreggiato con qualche difficoltà grazie alla sua dialettica dovuta a una laurea in legge sulla storia infelice del biscotto, dopo per aver dichiarato “non ci ho pensato nemmeno un momento a perdere, però la cosa potrebbe avere creato dei condizionamenti alla squadra” ha affrontato in conferenza stampa con sano pragmatismo la realtà dell’incandescente match con la Francia . Crede di sapere la ragione dei fallacci di Turiaf e Batum?, gli è stato chiesto. E lui: “Non chiedetelo a me, chiedetelo agli interessati. Per me la cosa più importante è che la squadra ha vinto e che la Francia abbia perso, devo guardare al prossimo incontro”.
“Vi sembra che perdere di proposito una partita è dimostrare spirito olimpico?”
Chiediamoci perché mai un’anima candida come Nicolas Batum e Romy Turiaf, considerato anch’esso un esempio in tutte le squadre dove ha giocato, abbiano avuto una reazione tanto violenta, mentre Tony Parker è invece affogato in un disperato silenzio. Batum ha poi chiesto scusa agli spagnoli e ai francesi per quel gesto di ordinaria follia, ma è chiaro che, dopo una brutta partita, ha voluto sputare il rospo che aveva in gola. Al solito, gli ineffabili dirigenti del basket hanno dato prova di latitanza, mentre una bella conferenza stampa con i capitani delle varie squadre avrebbe forse ridato a Francia-Spagna la giusta cornice.
La Francia non potrà quindi sperare di giocare la sua seconda finale olimpica, il sacrificio di Parker è stato immenso e meritava miglior sorte, ma è stato anche bravo Sergiogel , bisogna rendergli merito, di aver creduto nella marcatura di Sergio Llull sul francese. Dal punto di vista tattico, la chiave principale del successo mentre è anche sua l’idea dei due Gasol, una coppia di torri NBA che nessuna squadra può mettere in un quintetto e che ha un’alternativa in Ibaka, il miglior stoppatore della Lega professionistica.
Si va verso le semifinali con la Russia che dopo la frantumazione dell’impero sovietico ha collezionato due delusioni, l’ 8° posto nel 2000 e l’ancor peggiore 9° posto di Pechino, e appare pronta a dare una nuova delusione alla Spagna, come nel 2007 quando David Blatt regalato l’ultimo scudetto a Treviso costruì il primo grande successo della nuova Repubblica. Terza agli europei, brillantissima nelle qualificazioni olimpiche, battuti pochi giorni fa gli spagnoli i russi sono pronti per il bis e per sfidare per la prima volta la NBA, come accadeva ai tempi della guerra fredda.
L’Argentina ha eliminato il Brasile che era fuori dall’Olimpiade da 16 anni confermando il risultato del campionato delle Americhe di un anno fa, e che sulla storia del biscotto poteva a sua volta speculare, tirare a perdere e magari risparmiarsi per affrontare la Francia con maggiori possibilità, per il vantaggio dei lunghi. La Spagna deve fare i conti con la Nemesi, gli Stati Uniti confermano i 20 punti di media. L’avevamo scritto prima dei Giochi, lo dicono anche le statistiche ufficiali perché Usa e Argentina sono i due migliori attacchi, ma con una differenza di 20 punti di media, 118 punti contro 88,3. Gli usa non recitano , contro l’Australia, buona squadra e in crescita, hanno dimostrato di essere un Dream Team che non ha rivali come assist, rimbalzi, recuperi, e riesce a far rifulgere le virtù di ben 12 giocatori che fra loro potrebbero essere rivali. Dopo il record dei 156 punti e l’83 di scarto con la Nigeria, Lebron ha segnato l’unica tripla-doppia dei Giochi (con 12 assist, dei quali 3 no-look passa da antologia), con 4 triple su 4 nel finale Kobe Bryant ha chiuso il conto. L’Argentina ha perso con gli americani non senza aver fatto parte dello spettacolo, ma mai LeBron e Anthony, oggi delle icone di questo sport mentre ad Atene delle star nascenti, credo possano pensare di perdere due volte contro l’unica squadra che negli ultimi 20 anni dei Giochi è stata capace di battere i padroni del basket. Che, da parte loro, ambiscono a chiudere la missione olimpica come i loro illustri “zietti” l’avevano cominciata.
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