Nel giorno di Lucio Dalla

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Alcuni giorni fa  dal cenacolo lombardo di Springfield che mi fornisce spesso spunti interessanti ho ricevuto questa bellissima foto in bianconero di Lucio Dalla e l’ho passata a Pallarancione.com, e più la riguardo e più vorrei essere Pier Lambicchi… la sfioro con la mano e olpà eccomelo di fronte in carne e ossa, come quando terminata una partita di basket  si fermava sul campo a parlare con gli addetti ai lavori, si gustava il dopo-partita per il piacere esprimere pareri tecnici con competenza, mai tranchant o superbi.  Non se ne andava alla chetichella come i vip del Madison di Piazza Azzarita.

Potrei sbagliarmi ma credo di riconoscere  l’autore che, come si dice, l’ha immortalato con  questo bello scatto, ci rivedo  uno dei suoi cari amici e discepoli, credo proprio sia  R.S. un fotografo-artista che opera nella musica e nello sport   bolognesi conosciuto  anni fa che ha espresso  la sua visione del grande teatrino dello spettacolo  attraverso questi due colori che in verità non sono tali, sono opposti come la notte e il giorno, ma combaciano armonicamente  come lo  yin e yang della situazione.

Il bianconero  è anche il trademark della Virtus Bologna del quale era tifoso nel cuore anche se viveva la passione del basket in modo trasversale a aveva l’abbonamento per i due club faro della Dotta. Bianconero mi è sembrato purtroppo anche questo primo anno dalla sua scomparsa, troppo lungo, avaro di un programma, una trasmissione, un fatto che tenesse vivo il suo ricordo  e offrisse  la sensazione che la musica e il mondo dello spettacolo avessero ancora  bisogno della sua immaginazione. E di un ipotetico erede anche se  questa ricerca sarebbe più ingrata dell’ago nel pagliaio perché Lucio era unico, inimitabile, capace di sdoppiarsi, triplicarsi, quadruplicarsi nell’impegno musicale, fino a cimentarsi nella regia di un’opera lirica, magari pensando in cuor suo di poter essere lui  a dirigere un’apertura della Scala.

Uno dei maggiori rimpianti, come direttore di Superbasket, fu quello di non aver mai realizzato il sogno di una rubrica firmata da Lucio Dalla che ci aveva promesso e non so bene perché non andò in porte. Forse era solo pudore,  non voleva fare un torto al personaggio ma al basket.  L’idea  frullava nel campo di Alfredo Cazzola, il Colleoni del basket, l’avveniristico imprenditore che non pago delle fortune del Motor Show puntò sul rilancio della Virtus messiniana dei grandi trionfi europei, quanto quella di oggi vinta una coppa continentale non ha pensato nemmeno di difenderla e sbandiera come principale traguardo il bonus della Fip per chi fa giocare di più i giovani italiani.

Se il basket è diventato grande è perché negli anni cinquanta era diventato il crocevia dello sviluppo di questo sport, era cultura, sperimentazione, confronto di scuole come accadeva 900 anni fa ai tempi in cui la sua Università era l’Alma Mater del sapere e richiamava tutte le nuove menti ad ogni dove.

Spesso scherzava con me specificando che l’opinione non era di Lucio Dalla ma del più grande piccolo giocatore di basket, io sorridevo e gli davo ragione  perché era amico di tutti, giustificava tutti, era l’appassionato perfetto. E lo spot dell’attrattiva del basket.

La certificazione naturale delle sue “gesta” sui campi di basket l’ha data anche Gianni Corsolini, altro figlio illustre della Dotte, nel suo ultimo spassoso libro di costume sociale che ho divorato in una notte, molto meglio di tanti programmi e anche partite Tv, come l’ultima fra Milano e Siena.

Negli anni Cinquanta e seguenti – scrive il narrator cortese –  a Bologna la pallacanestro non era solo uno sport, ma un’occasione socializzante, quasi culturale per i giovani. Tutta la città viveva per il mondo dei canestri. Il calcio, anche allora imperante, dominava in provincia mentre il centro palpitava per la pallacanestro. Lucio Dalla, ad esempio, giocava nell’ACLI Labor (da qui la sua profonda fede cattolica) e ogni oratorio aveva la sua squadra. All’Oratorio San Giuseppe, fuori Porta Saragozza, Pupi Avanti e i suoi amici preferivano il Bar Margherita, ma molti altri della stessa “balla” giocavano

Oggi ricorre il suo giorno settantesimo di nascita, il 4 marzo, data resa celebre  nel titolo di una delle più belle canzoni (“4 marzo 1943”) a mio parere come “Caruso”, altra sua invenzione musicale, l’Uomo in Frack di Modugno, Il Cielo in una Stanza di Paoli  e Azzurra e Tornerai di Bruno Lauzi.  Raiuno dedica all’artista un grande concerto, in diretta dalle 21.10 da Piazza Maggiore di Bologna, a pochi passi dalla sua abitazione di  Via dei Celestini  e dove  il  giorno di Natale, ospite dei miei amati Tosi, passando davanti a una banca ho ammirato nelle sue vetrine  il piccolo capolavoro di un presepe napoletano,  sotto la sua bella campana di vetro soffiato, che sulla targhetta portava  il suo nome come proprietario.

…Te vojo bbene assai…ma tant tant’e bene…assai…è una catena ormai…

Anni fa avevamo  discusso sul  valore ispiratore del presepe napoletano, con le sue piccolissime statuine, e quel senso  popolare  e genuino della vita semplice che  nel silenzio provocava una vampata musicale, fra una bella tarantella e  il vociare dei quartieri spagnoli.

Anch’io ho acquistato un simile picco capolavoro, e ogni  volta scoperchiandolo  mi arrivano le note innocenti di  un carillon. Che la musica inizi, che la tua  festa  – caro Lucio –  non finisca mai. Grazie, grazie ai tuoi  grandi amici artisti  molti dei quali ho incontrato sui campi da basket.Grazie dunque per questo originale compleanno  a Gianni Morandi, Gaetano Curreri degli Stadio, Luca Carboni, Samuele Bersani, Andrea Bocelli e Zucchero.

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