Chiamiamolo effetto-panchina, non bastano le grandi star per costruire grandi squadre. Lo spettacolo è sovrano, ma il basket è uno sport di squadra e alla fine esiste un processo di livellamento. Questo il messaggio che manda la NBA col clamoroso passaggio di consegne all’Ovest a tre settimane dal termine della Regular Season dove San Antonio con 10 vittorie su 10 (39/14) ha scavalcato Oklahoma (40-15).
Ma ancor più brutta della sconfitta dei Thundercity a Indiana, che ci poteva stare contro Granger e c., protagonisti di una bellissima stagione che li vede al 3° posto all’Est e dominatori ai rimbalzi (50), è quella casalinga di Miami. Memphis, la squadra dove il pilastro è Marc Gasol, a conferma di una stagione sorprendente (e da formichina risparmiosa…) interrompe una serie di 17 vittorie consecutive di Miami nella sua arena e getta ombre e dubbi sulla possibilità di vincere il sospirato titolo in una stagione convulsa che ha subito perso per strada i campioni di Dallas contro i quali gli Heats avevano perso la passata stagione in finale.
A proposito dell’effetto panchina, i 65 punti totali fra Durant (44, 15/24, 3/8 da 3, 11/13 tl) ) e Westbrook (21, tripla sfiorata con11 rimbalzi e 9 assist ma solo 7 su 23 al tiro..) non sono stati sufficienti contro i 33 totali degli altri 8, con una serata-no di James Harden (1° punti, 1/5 da 3, 5 perse) spesso il terzo martello della formazione che nella prima fase della stagione era stata anche al comando. Squadra da registrare, Ibaka ha portato anche 7 stoppate, il problema del centro (Perkins) è stato impietosamente sottolineato dal dominio di Roy Hibbert, neo-All Star (21 punti e 12 rimbalzi), e a Los Angeles hanno risparmiato 3,8 milioni di dollari con la cessione di Derek Fisher che ha..indebolito Oklahoma, considerato il suo rendimento, 0/3 nel tiro, quasi un corpo estraneo.
Oltre ad aver confermato il problema nel tiro da 3 (4/18, 2/6 di Lebron, a secco i ripetuti tiri di Battier, Chalmers e Cole), Miami ha avuto 60 punti dal trio Lebron (21)-Bosh (19)-Wade (20) e appena 22 negli altri 9 giocatori.
San Antonio invece completa la sua scalata con ben 86 punti dalla panchina con i vari Splitter, Ginobili, Neal in doppia cifra, contro i 46 del quintetto iniziale dove spicca Tim Duncan che non sente il peso degli anni), ennesimo capolavoro di Gregg Popovic, oggi il coach più venerato della NBA.
San Antonio ha spazzato via gli Hornets (25 punti) che nonostante 31 punti di Eric Gordon hanno pagato l’arrendevolezza ai rimbalzi (solo 29, e 1 in tutta la gara del centro titolare Kaman), Belinalli ha segnato 15 punti entrando come 8° giocatore con 6/14, 2 rimbalzi in 21 minuti, c’è continuità ma non eccezionalità nella stagione dell’azzurro di Bologna.
Ancora rinviato il ritorno di Gallinari nei Denver che hanno respinto l’assalto di Phoenix, rientrata nel giro dei playoff, preferendo il greco-americano Koufos in quintetto al posto del deludente JaVale McGee (2 rimbalzi, 1/5 ai liberi) il talento inespresso di 2,13 arrivato da Washington. Lawson ha segnato solo 2 punti, Afflalo (30 punti) è diventato il riferimento della squadra ma i salvagente sono stati ancora i cambi di Harrington (23 punti) e dello storico play Andre Miller (15).
Mai dare nulla di scontato con Toronto, era attesa la quarta vittoria consecutiva contro Cleveland che veniva da 9 sconfitte consecutive, e ancora senza Kyrie Irving, miglior matricola dell’anno, infortunato alla spalla. E’ stato sufficiente invece il rientro di Antwan Jamison (25 punti) per ribaltare la gara che Toronto aveva iniziato alla grande sotto la spinta di Andrea Bargnani, con 13 punti (6/7) nei primi 17 e 14 all’intervallo. Sul 63-51 per i canadesi, la vittoria sembrava a portava di mano, invece Bargnani si è bloccato e con un parziale di 33-17 nel quarto tempo Cleveland è tornata al successo. I Raptors hanno messo in quintetto al posto di Josè Calderon, acciaccato, un giocatore a gettone, il giovane Ben Uzoh, ancora tutto da sgrezzare. Miglior realizzatore DeRozan (28 punti), Bargnani si è fermato a 19 con 8/22, 1/5 da 3, 2/4 liberi, 7 rimbalzi in 35 minuti.
Un calo netto, forse anche fisico. In ogni caso, nelle ultime gare tiene una media di 22 punti ma in questa annata luci-ombre, cominciata nel modo migliore, e poi diventata problematica per il risentimento al polpaccio sinistro, un vecchio problema che sin è ripresentato una seconda volta, che gli è costata ben 27 assenze su 56 gare. Il Mago è sceso nelle percentuali di tiro sia da 2 (43% ) e soprattutto da 3 (da 36% a 30%), ha però migliorato nei rimbalzi (5,5 contro 4,9) e leggermente negli assist (2) e commesso meno falli, ma questo non è un vero progresso tecnico, in realtà per costituzione fisica e indole non è un grandissimo difensore, e il suo coach Dwane Casey lo mette spesso in punta alla difesa e non dietro per sfruttare i suoi centimetri sul perimetro. Una saggia idea, potrebbe essere anche un suggerimento per il CT azzurro Pianigiani se non fosse che ad oggi l’Italia manca di un centro di razza.
Ftattanto il cosiddetto dramma di Orlando diventa quasi una comica. Van Gundy dichiara che Howard ha chiesto la sua testa, Howard sciopera in campo e dopo la quinta sconfitta consecutiva dice ai cronisti:
“Io contro Van Gundy? suvvia ragazzi…”.
E i due nella calca della conferenza stampa si mettono anche a scherzare. Giusto il commento “Trouble in Paradiso”, baruffa in Paradiso.
Risultati venerdì 6 aprile: Indiana-Oklahoma 103-98, Toronto-Cleveland 80-84, New Jersey-Washington 110-98, Atlanta-Detroit 101-96, Miami-Memphis 82-97, Milwaukee-Charlotte 95-90, Dallas-Portland 97-99, San Antonio-New Orleans 128-103, Denver-Phoenix 105-99, Utah-Golden State 104-98.