Lui è uno di cui ti puoi sempre fidare, anche nelle interviste. E gli azzurri lo scelgono come portavoce, per schivare i dardi della stampa. Oggi non sai mai chi ti intervista, può essere un avversario ed è meglio studiarlo come fa lui con i suoi avversari.
Dicono che non abbia mai perso due volte di fila con lo stesso avversario, compresi i giganti che vanno per la maggiore. E mi raccontano anche che è più considerato dai suoi avversari che dai suoi allenatori, ma questa forse è una boutade perché se sei solamente un palo della luce in nazionale non ci arrivi.
La cosa peggiore che gli potesse capitare, in queste qualificazione di mister “Natura no facit saltus”, La Natura non procedere a strappi, è che la vittoria in Turchia ha fatto passare inosservata la sua assenza per infortunio. Conta di tornare a Trieste sabato sera per la festa di quella bella avventura, ma secondo le “Pianigiani rules” la formazione viene annunciata solo al termine dell’allenamento del mattino.
Scrivo e intervisto Marco Cusin che per le statistiche è stato, dopo Gallinari, il più alto in classifica. E’ stato, fugacemente, al 1° posto dei tiri liberi conquistati il Gallo. Ovvero il dato che testimonia la pericolosità, uguale a fiuto del canestro, talento, fisico, tecnica, visione di gioco. In seguito il Gallo si è collocato, in quella specialità che io indico come il segno distintivo di un giocatore completo, fra il 3° e il 6° posto. Perché il nostro “Doctor G” doveva fare altre cose, mentre Marco si è calato con serietà (e autorità, a volte) nella parte di totem difensivo, e sta trasformandosi in un rispettabile portierone del basket di 2,11. Ha viaggiato a una media di 2 stoppate, poi è sceso a 1,7. La stoppata è un fondamentale che i nostri allenatori curano poco, invece è sinonimo di spettacolo e intimidazione. Anche se il nostro personaggio, sarà per gli occhi azzurri, è lontano da quei colleghi mori che ti cacciano la palla in gola. Diciamo che lui ripiega sul ruolo di radar, 5,2 punti, 6,3 rimbalzi, 1,7 stoppate danno il senso che sa tenere bene il campo e il ruolo, in attesa di una crescita internazionale che potrebbe arrivare col trasferimento a Cantù che dal 25 settembre tenterà di rientrare in Euroleague.
Il Razza Piave di Pordenone è arrivato grazie a Recalcati in nazionale, venendo dalle leghe minori e senza aver mai giocato le coppe. Ma in azzurro ci è rimasto, e Pianigiani l’ha inserito in pianta stabile, espressione che non vuole essere… offensiva per questo giocatore a 27 anni ancora tutto da scoprire, non goffo, con buoni riflessi, concretezza e massima predisposizione per il gruppo.
– Questa Italia sembra la rappresentazione dell’elogio del gruppo?
“Sì, quando attraversiamo un momento di difficoltà, diventiamo un gruppo e ci sentiamo tutti importanti allo stesso modo”
– Come scatta questa molla, c’è un rituale?
“Il nostro gruppo si alimenta con una battuta, uno scherzo, e quando siamo in campo basta guardarci in faccia. Proprio così, se la partita diventa difficile, basta uno sguardo, e tutto cambia”
– A parte il gruppo, il vero segreto di questa squadra?
“Il lavoro degli ultimi tre anni che viene allo sconto adesso”
– Questa squadra ha sentito la pressione della stampa?
“Personalmente in passato c’è stato qualche episodio con la stampa che mi ha creato un nervosismo che non volevo, perciò preferisco concentrarmi sul lavoro. E’ il lavoro che facciamo in palestra per vincere le partite la cosa più importante. E lo staff che lavora per farci crescere”
– Come la maggior parte dei giocatori italiani è stato scoperto tardi.
“Credo di sì, la mia crescita è arrivata attraverso la promozione di Cremona, e poi la grande possibilità mi è stata data da Pesaro arrivando ai playoff. E’ stata una crescita di fisico e di testa, devo ringraziare il mio allenatore”
– Ruolo difficile se non ingrato quello del centro in questa squadra.
“Soprattutto in difesa. Bisogna coprire tutta l’area, occorre tempismo nelle rotazioni e negli adeguamenti sui movimenti degli attaccanti, per aiutare in compagni. Il fisico naturalmente è una cosa importante ma occorre anche uno studio di quanto succede, conoscere gli avversari, chiudere il raggio di azione preferito”
– A quanto il Cusin in versione attaccante?
“L’importante per ora è far parte di questa nazionale. E a nessuna manca nulla. Anche in attacco prevale la logica del gruppo, tutti riceviamo il pallone, tutti possiamo far canestro. E lo stesso Gallo fa circolare bene la palla. Il segreto è una pallacanestro semplice, naturalmente fondata sul massimo impegno. Sacrificio in allenamento e in partita, così i risultati vengono”
– Chi è Marco Cusin come persona?
“Vivo la mia età, con le esperienze utili per crescere, mi ritengo un tipo un tipo tranquillo al quale piace fare tutte le cose entro certi limiti”
– Non rimpiangi di non aver ancora giocato in una squadra da scudetto?
“Beh, per questa sfida capita a proposito il mio trasferimento a Cantù, in una squadra giovane, con due americani giovani e grandi margini di crescita”.
Marco Cusin è nato a Pordenone il 28 febbraio di 28 anni fa, segno dei pesci. Debuttato con la maglia di Trieste che gli regala sabato anche la festa del primo importante risultato in azzurro, e poi sempre con la valigia pronta: Biella, Ferrara, Fabriano, Soresina-Cremona e Pesaro dove arriva alla semifinale con Milano.
Un passo dopo l’altro e con qualche problema fisico si è conquistato il quintetto della nazionale, in queste qualificazioni ha giocato 17,7 minuti con 11/23, il 47,8% nel tiro, 5,2 punti, 6,3 rimbalzi, 1 assist, 1,7 stoppate. Una presenza nel gruppo, e ci dici poco esserci quando si vince?
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