CONTROSCUDETTO Siena dilaga, il match si sposta a Milano per gara 3, il pubblico del Forum può essere la molla per una reazione, e Dentom potrebbe essere la novità per fermare lo scatenato McCalebb (46 punti in due gare oltre al resto)
Meno 28 anche se l’inverno è passato da un pezzo. Non siamo su Scherzi a Parte, Siena 86, Milano 56 procede infatti come il gambero a meno che stoicamente vada controcorrente come il salmone per deporre le uova e riprodursi geneticamente, per fare figli più forti. Ma sarà per l’anno prossimo. Perdere di 1 o di 20 nei playoff non fa differenza, e paradossalmente una brutta sconfitta produce spesso tonnellate di rabbia, cosa di cui Milano ha bisogno per riportare in equilibro una sfida per ora largamente tradita.
E’ bruttissima questa sconfitta. L’errore dei Patroclo milanesi è stato quello, al solito, di non saper prendere le misure, soprattutto quelle della ragione. Dopo la sconfitta inaugurale, ha detto e ripetuto infatti un concetto fallace
“In fondo s’è perso per un canestro sbagliato, un mancato aggancio”.
Affermazione rimpallata da Pianigiani con una frase lapidaria e insolente:
“Siamo stati sempre in testa”.
Si tratta di uno schianto in piena regola, solo i più giovani sono stati ammirevoli, soprattutto Melli , mentre Gentile è stato l’unico a costruirsi un canestro di tecnica al di fuori dello schema. E quando vedi Bourouis, il grizzly bianco, impallinato dall’altoatesino Tomas Ress e Omar Cook che sul primo passo d’entrata di McCalebb abbassa il cancello della zona e cedendo due metri all’avversario, capisci che anche quest’anno Milano vedrà lo scudetto col binocolo. Un grande attacco nasce da una grande difesa, come dimostra proprio Siena in gara2, e Milano ha già perso due occasioni per dimostrare che questo dice la scienza del basket.
Siena ha segnato gli identici 86 punti di gara1, me ne ha fatti segnare 20 di meno agli avversari in questa sfida che prende una brutta piega, tanto che i pifferai catodici, quelli che continuano a ripeterti “ i tempi del ventello sono finiti, oggi è un’altra storia”, che usano lo slang (il pitturato, l’attacco al canestro, etc etc) senza un proprio vocabolario e una propria immaginazione alla fine parlano incautamente di massacro e umiliazione. Termini guerreschi che non dovrebbero far parte di un commento di un evento sportivo.
Prima di gara2 ho sottoposto alla Bocca della Verità alcuni quesiti, cominciando con una domanda di fondo provocatoria: Sergio Scariolo è un grande allenatore solo con i grandi giocatori, come ha dimostrato con i due titoli europei con la Spagna?. La voce della saggezza, dopo avermi ammonito per l’impertinenza, ha avuto la bontà di spiegarmi che il peggio per Milano doveva ancora venire.
“Non sono cattivo come te, guarda la difesa. E’ difficile far difendere una squadra,se poi hai dei giocatori che sono abituati ad attaccare perchè leader nella loro squadra. Se guardi Gentile,per esempio, il suo credo paterno è l’attacco. Se vedi il Melli vedi un ragazzo intelligente che ha capito che per trovare spazio e tempo in campo con tutte quelle stelle,si e’ messo a difendere duro”.
Spese alcune parole di comprensione nei confronti del supercoach di Milano la Bocca della Verità era invece d’accorso su quanto scritto prima e dopo gara1, che i problemi di questa squadra sono strutturali, e tenuti nascosti all’inizio dalle 13 partite giocate da Gallinari, l’ultima delle quali, prima del precipitoso ritorno a Denver, è servita a battere la prima e unica volta Siena. “Di sicuro – ha spiegato la saggia Bocca – Scariolo tenterà di far difendere la propria squadra,mi stupirei il contrario,ma penso che sia quasi impossibile con gli uomini che ha”.
“Per quanto riguarda il gioco, amico mio – ha dovuto convenire – con tutte quelle stelle,con tutti quei terminali,non basta un anno per metterli assieme e per convincerli a giocare di squadra: è la costruzione della squadra che ha qualche difetto. Se poi fai giocare da 4 il Mancinelli, allora sei troppo alto,troppo pesante e ti manca il tiro da fuori”.
Effettivamente la costruzione della squadra è stata tortuosa, sembrava dovesse arrivare Ettore Messina e poi ecco Sergio Scariolo. E’ stata costruita sulla carta, puntando su giocatori europei un po’ usurati e americani europeizzati tanto che per la Tv Cook è ormai uno che ha il passaporto montenegrino, non più uno yankee. Si è giocato soprattutto sull’effetto Gallinari, una operazione utile anche in chiave di rilancio d’immagine sperando forse che lo sciopero della NBA facesse saltare la stagione.
Sono anni che a Milano non arriva più un grande giocatore Usa, come nel solco della tradizione degli anni di Bogoncelli (a parte Mike D’Antoni vogliamo ricordare un certo Bill Bradley?) e soprattutto dei Gabetti (da Carroll a McAdoo), una figura veramente carismatica. Il collante avrebbe potuto essere solo il gioco, e magari l’umiltà. Un richiamo al glorioso passato. Mai una volta in via Caltanissetta si è andati sopra le righe. Ma su quest’ultimo ho qualche dubbio che oggi sia così, e vi risparmierò un colorito proverbio milanese tanto calzante per questa debacle. E’ tanto lontana la bella frase di Scariolo al suo arrivo: “A Milano non si può vendere fumo”. Poi si è andati fuori dal seminato. A parte la polemica sul sistema “rancido e incancrenito”, dire a nuora perché suocera intenda, del tutto pericolosa soprattutto per gli equilibri di squadra delicati, perché questo per ora resta un gruppo attaccaticcio, più un volersi prendere degli alibi, mi pare proprio che in questa spedizione sia mancata una buona dose di umiltà, con una “pataccata” di troppo. Con tutto il rispetto per l’ad di Armani autore di una brillantissima carriera – non immaginavo che un volonteroso scout delle squadre NBA e allenatore dello staff pesarese arrivasse a 39 anni così in alto nella struttura Armani – ho trovato fuori luogo si ponesse sul sito di Legabasket, lo schermo ufficiale del basket, come il salvatore della patria cestistica. Soprattutto non gli è stata perdonata dai senesi quando si sa che la pallacanestro in Italia è stata lanciata dalla gloriosa Mens Sana e il Costone acquistò a Londra i primi canestri in ferro importati in Italia.
“A differenza delle due esperienze precedenti questa volta anche per il bene della pallacanestro sentiamo di avere un ruolo diverso rispetto al passato, dobbiamo competere, avvertiamo questa responsabilità e ci sentiamo in grado di accettarla. Se poi capitasse di perdere, non faremo drammi e ci riproveremo, consci di aver costruito un progetto in costante ascesa. Lo dicono tutti i parametri: organizzazione societaria riconosciuta, credibilità internazionale, pubblico in aumento anche in trasferta e le nostre partite sono le più seguite in tv. Le migliori audience stagionali sono state ottenute con l’EA7 sullo schermo. Ne siamo orgogliosi”.
A parte lo storico “ipse dixit” non ho compreso, a parte il clima infuocato, perché a sua volta il presidente dell’Armani non fosse nell’arena , e seminascosto nel tunnel degli spogliatoi, con un body-guard al fianco masticasse gomma (americana?). Il grande Cesare Rubini sarebbe entrato in campo mandando bacini al pubblico, e tutto sarebbe finito con una buona razione di sfottò.
Fortuna vuole per l’Armani che siano già garantiti due esauriti al Forum, a questo punto, fatto un bel bagno di umiltà, avrà almeno il vantaggio di un Sesto Uomo importante, il pubblico. E magari, vista la situazione, il rendimento del duo Cook-Bremer, potrà farci vedere quanto vale questo Justin Dentmon. Ha giocato a cachet a San Antonio e a Toronto e vinto da MVP il titolo della D-League. Oltre a giustificare la spesa e le belle parole spese al suo arrivo prima di essere incartato, 3 gare, 4 punti e 12 minuti di media, potrebbe magari essere messo alla prova per sacrificarsi su McCalebb naturalmente …“per il bene – sic – della pallacanestro italiana”.
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