NBA, sesta sconfitta Knicks superati da Milwaukee, playoff a rischio

La NBA è bella perchè ogni è ogni notte varia, dai 144 punti di New Orleans-Charlotte ai 251, ben 107 in più di Phoenix-Minnesota, 69 punti nell’ultimo quarto, 70 punti in due tempi dei vincitori di Minnesota, ben 13 giocatori in doppia cifra con 30 di Kevin Love e 24 del montenegrino Nikola Pekovic, sempre più protagonista  della Lega professionistica.

Tutto sommato Jersemy Lin  invece  se l’è cavata, 15 punti, 8 assist e anche in difesa ha fatto un buon lavoro, basta guardare alle percentuali di tiro di Rose e la palla scippata spettacolare che ha lasciato di stucco il trascinatore dei Bulls. Il problema non è lui, ma il resto della sua squadra. Inutili ad esempio  nell’economia  dei Knicks, gli oltre 40 punti Anthony e Stoudemire che spariscono nell’ultimo quarto. Inevitabile  arriva così  la sesta sconfitta consecutiva, esattamente come all’inizio di stagione quando  però un disco volante sbarcò ai cancelli del Madison un ragazzo dagli occhi a mandorla che riuscì a guarire (8 vittorie) una squadra a pezzi e fu ribattezzato Linsanity.

NBA, sofferto rientro di Bargnani e Gallinari

Sono sulla graticola due grandi protagonisti degli anni migliori della Spaghetti League, Mike D’Antony e Vinnie Del Negro mentre al rientrano dopo una lunga assenza  i due giocatori italiani più illustri e pagati (10 milioni di dollari per stagione) faticano a tornare ai livelli di inizio stagione quando ispiravano le gesta delle loro formazioni, vedi il Gallinari del Madison o il Bargnani di Phoenix  fondamentali per permettere alle loro formazioni di fare  l’ultimo salto di qualità.

A New York sembra già lontanissimo il tempo della Linsanity quando con la squadra a pezzi il marziano taiwanese aveva offerto partite incredibili per un giocatore ingaggiato a gettone e che dormiva sul divano di un amico, e i Knicks con 8 vittorie consecutive avevano fatto scordare la brutta partenza e salvato il posto a Mike D’Antoni.

La maledizione dei Lupi di Minnesota: salta il ginocchio di Rubio

Chris Paul gli ha scritto:

“Prego per te”.

La data dell’operazione  di Ricky Rubio non è stata ancora fissata, la stagione più bella dei Lupi del Minnesota, che per la prima volta questa settimana avevano messo per la prima volta il piedino nei playoff dopo 5 anni terribili, ha il sapore di un miraggio beffardo.

Finisce infatti prematuramente e nel dramma la stagione d’esordio di  Ricky Rubio, la trottola spagnola, diventato subito uno dei principali protagonisti della NBA, molto amato dal pubblico e dagli avversari. Il play catalano, lanciato dalla Joventud, prima scelta 2010, dovrà saltare anche le Olimpiadi di Londra per uno strappo dei legamenti del ginocchio sinistro conseguenza del pesante contatto (fortuito) col ginocchio di Koby Bryant (con la maschera per la frattura al naso) a 16 secondi dalla fine del match perduto venerdì notte in casa contro i Laker. E la sera dopo questa pesantissima tegola, per lo choc, Minnesota ha perso in casa con gli Hornets di Marco Belinelli, per 89-95, nella quale si è sentita la sua assenza, vedi le troppe palle perse contro una formazione di bassa classifica.

Nba infortunio Ricky Rubio, stagione finita e addio Olimpiadi 2012

Tegola per Ricky Rubio, guardia ventunenne in quota ai Timberwolves Minnesota. Lo spagnolo che ha masticato quest’anno la sua prima stagione di Nba e che lo ha fatto con risultati altamente positivi e un crescendo di forma notevole, dovrà rinunciare al resto dell’anno agonistico a causa di un bruttissimo infortunio.

Nello specifico, si tratta di lesione a un legamento in seguito a un impatto casuale con Kobe Bryant nel corso dell’ultimo minuto della sfida tra i Wolves e i Los Angeles Lakers.

Sebbene l’infortunio sembrasse di lieve entità, il ginocchio di Rubio è poi ceduto. Alla sua prima stagione in America, Rubio era uno dei papabili per il conseguimento del titolo di miglior Rookie 2012 con medie stagionali di oltre 10 punti, 8,2 assist e 4,2 rimbalzi a partita. L’iberico dovrà rinunciare anche alle Olimpiadi di Londra 2012.

NBA spietata, Miami rischia ko casalingo con Indiana

E’ colpa dello sciagurato lock-out, 6 mesi di corpo a corpo, carte bollate, e poi improvviso ravvedimento complice il Natale e la prospettiva di bancarotta, e tutti in campo a rota di collo. Un gioco al massacro: 3 o 4 gare per settimana, 2 o 3 gare una dietro l’altra, basket gladiatorio, mors tua vita mea. Questo il quadro allarmante della NBA quando Chicago e Dallas si apprestano a toccare la boa delle ultime 22 gare, con squadre rattoppate e allenatori sparagnini, di sistema,  che per salvare lo stipendio insistono sui big.  Un po’ quello che succede nella Spaghetti League.

Lo scenario fa capire bene perché due delle 3 bigs impegnate nel turno di sabato notte hanno rischiato di lasciarci le penne, e mentre  con 33 punti del “barbudo” Harden, il suo terzo martello,  Oklahoma faceva a fettine Charlotte, la squadra (materasso) di Michael Jordan e la sua nemesi con 5 vittorie e 34 sconfitte,  Kyle Korver ha salvato Chicago con 5 titolari indisponibili, fra i quali l’influenzato Noah e Luol Deng  che si è fermato di nuovo dopo aver giocando ben 17 gare con un polso dolorante. Da parte sua Miami sotto anche di 14 punti con Indiana è stata salvata con un tiro da 3 di LeBron alla fine del 4° tempo, e quasi spacciata, sotto di 5, 85-91, a 1’41” dal supplementare ha vinto con un canestro in sospensione di Dwayne Wade fuori equilibrio, mentre stava ricadendo a terra a 1 decimo dalla fine, su un rimbalzo  d’oro in attacco di Haslem.

Belinelli-Gallinari 12-9, ma gli Hornet non si ripetono

C’era anche il derby italiano  di venerdì notte 9 marzo in Colorado fra Gallinari e Belinelli in gara 3 fra Denver e Hornets con una vittoria per parte, entrambe in trasferta, l’ultima delle quali il 9 gennaio a favore di New Orleans (94-81).

Denver si è rilanciata (23/18)  dopo l’All Star Game e col ritorno del Gallo ha vinto 5 delle ultime 6 gare e superato in classifica  Dallas al 6° posto  approfittando delle ultime delusioni dei campioni in carica  e adesso è attesa da un trittico casalingo con squadre ambiziose e in forma, e questo col recupero di Mozgov e Koufos  potrebbe proiettarla nuovamente fra le protagoniste. Precisamente affronta domenica Memphis, martedì Atlanta e mercoledì Oklahoma, la miglior squadra della sua conference.

Match pari, senza però particolari guizzi per i due azzurri. Il Gallo, entrato come 7° giocatore, stenta a trovare il ritmo e la sicurezza nel tiro dopo il serio infortunio alla caviglia e il mese d’assenza, e dopo aver sbagliato addirittura i primi 6 canestri si è rimboccato le maniche e  ha chiuso con 3/10, 1/5 da 3, 9 punti e un contributo prezioso per la squadra (difesa, 3 rimbalzi e 2 assist).

Vertigini da primato, Cleveland vince a Oklahoma City

La fortuna offre una mano alle due losangeline che escono da un momento poco brillante, specie in trasferta, e si rilanciano riuscendo a fare risultato contro due formazioni vincenti ma prive del miglior giocatore, e cioè Tony Parker che si trascina dall’All Star Game un problema alla coscia che ha rallentato il ritmo degli Spurs, la squadra di febbraio con una striscia di 11 successi consecutivi, e per dolori alla schiena di Kevin Love, la double-double machine dei Lupi di Minnesota e in corsa per il titolo di MVP della stagione quale  4° marcatore (25,8 punti) e 2° rimbalzista (13,8).

Senza Parker, San Antonio rispolvera Manu Ginobili (22 punti) e mette in quintetto Gary Neal, il fuggiasco della Benetton, top scorer del campionato italiano e oggi giocatore fondamentale per coach Popovic. Gli Spurs senza il loro match-winner vanno a briglia sciolta, ne approfittano le due guardie Chris Paul e Mo Williams per segnare 69 punti, più della metà per portare i 2 punti fondamentali dopo un deludente 4/6 nelle ultime 10 gare ed evitare il nuovo sorpasso dei Lakers che vince invece con 34 punti di Koby Bryant, sempre in maschera per la frattura al naso, con una buona gara di Minnesota col rientrante Pekovic protagonista assoluto, unico slavo rimasto a tenere alta la bandiera di un basket declinante, oltre alla doppia-doppia di Ricky Rubio (15 punti e 10 assist).

I grandi del basket, Adrian Dantley

2.223 punti messi a segno in soli tre anni, quando frequentava la University of Notre Dame. Un biglietto da visita di tutto rispetto che gli valse la convocazione in nazionale per le Olimpiadi di Montreal nel 1976. Lui è Adrian Dantley, laureatosi campine olimpico negli anni in cui i professionisti non potevano partecipare alla manifestazione e capace di mettersi in mostra come una delle migliori ali piccole del torneo.

I buoni risultati ottenuti gli aprirono la strada verso il professionismo, grazie alla chiamata dei Buffalo Braves, squadra senza troppe ambizioni e poco attrezzata per la conquista del titolo finale.

Ma questo non impedì a Dantley di emergere dalla massa e di laurearsi Rookie dell’anno nel 1977, anno che segnò anche il suo passaggio agli Indiana Pacers, dove rimase per meno di mezza stagione.

Howard ferma Chicago, Dallas non vince in trasferta

Niente vittoria n. 34 per i Bulls nel turno più corto della stagione, due sole gare. Reduce dalla sconfitta di Charlotte, col suo allenatore Van Gundy colto da malore  Orlando getta la basi per vincere allo United Center, dove i Bulls hanno perso 2 sole volte, con un 37-22 nel 1° quarto grazie al 75% di tiro, conquista anche 18 punti di vantaggio, riesce ad andare sotto a 55” dal termine e approfitta dei 6 tiri sbagliati  nell’ultimo minuto e mezzo  dei rivali che venivano da 8 vittorie consecutive e tornano sotto l’80%  (33/9) passando   lo scettro del comando a Oklahoma (31/8).

Rose non ha tirato bene (6/22) ma costruito caparbiamente la rimonta, segnando anche un canestro impossibile sulla sirena a metà tempo. Incisivo Carlos Boozer, male invece nel tiro per problemi al polso  Luol Deng (1 su 9), il sempre encomiabile francese Noah ha portato 10 rimbalzi, niente da fare però  contro il vero match winner è stato Dwight Howard che continua ad essere il centro del mercato.

I grandi del basket, Kevin Willis

Nell’NBA ci sono diversi esempi di longevità, ma sono ben pochi i casi di giocatori capaci di restare sul paequet per 21 stagioni. Uno di questi è Kevin Willis, centro imponente di 213 centimetri, nato a Los Angeles, ma trasformato in giro per varie città americane.

Ad accorgersi per primi delle sue potenzialità furono gli Atlanta Hawks, che lo scelsero nel 1984 per farne una delle colonne portanti della squadra. Ad Atlanta Willis trovò il compagno ideale in Dominique Wilkins, altro beniamino del pubblico di casa.

Insieme i due trascinarono la squadra per diverse stagioni, pur non arrivando mai alla conquista del titolo finale. In particolare Willis seppe ritagliarsi un ruolo da protagonista, arrivando spesso in doppia cifra sia nei punti messi a segno che nei rimbalzi conquistati.

Chicago dice 33, Gallinari stenta a ritrovare il tiro

Serata da dimenticare per le squadre californiane, si salva solo Sacramento all’indomani della conferma del suo coach  Keith Smart e l’annuncio della costruzione della nuova arena  grazie al canestro finale  di Salmons contro i sempre combattivi  Hornets di Marco Belinelli (11 punti, 5/16, 0/3 da 3, 4 rimbalzi in 33 minuti).

Battuta in casa Golden State da Memphis, la squadra del giorno (9/1 nelle ultime 10 gare, come Chicago e Oklahoma , 5 vittorie nelle ultime 5 gare) trascinata dal tandem Gay-Marc Gasol che passa al 3° posto all’Ovest con 23/15 per un significativo 60,5 e ha superato nel ranking non solo Dallas ma anche le due losangeline che hanno perso le ultime 4 gare. I Lakers a Washington non hanno avuto la solita doppia-doppia di Bynum e sono riusciti a farsi recuperare 19 punti dai Wizard, squadra di bassa classifica,  nonostante John Wall non abbia regalato al suo pubblico gli abituali momenti di spettacolare follia. Un canestro di Jordan Farmar, ex dei Lakers e play del Maccabi nella prima parte di stagione, ha invece punito i  cugini dei Clippers che sentono sempre più il peso dell’infortunio di un giocatore importante come  Billups, tiro da 3, difesa e personalità e avrebbero bisogno un giocatore come il senese McCalebb, il cui nome circola in questi giorni sulle bocche dei manager NBA.

Gallinari è tornato, il suo problema è l’esplosione della matricola Faried

Gallinari è rientrato dopo un mese d’assenza per il problema alla caviglia giocando 17 minuti con 1/3 da 3, 3 rimbalzi,  quel che si dice una presenza importante, ma  adesso dovrà riprendersi il posto di starter perchè nel 3° successo della stagione contro Sacramento  Kennet Faried, la matricola terribile,  ha dimostrato di voler recitare un ruolo importante nella formazione di George Karl che grazie anche al recupero di Nenè ha ripreso quota (22/17) affiancando Dallas  nella corsa ai playoff.

Faried ha segnato 20 punti, con 6/7 ai liberi e 12 rimbalzi, la sua terza “doppia-doppia” consecutiva e la sesta che conferma l’esplosione dell’ala d’acciaio mentre Afflalo ha preso quota (30 punti) e Ty Lawson è stato eletto giocatore della settimana in un continuo crescendo.

I grandi del basket, Robert Parish

Un gigante del basket, dall’alto dei suoi 215 centimetri di altezza. Un gigante anche in senso metaforico, per quello che ha saputo fare nel corso della lunghissima carriera. Robert Parish ha lasciato un’impronta incancellabile sui parquet di mezza America, tanto che ancora oggi viene ricordato come uno dei più grandi centri della storia.

Lo chiamavano The Chief, il Capo, per via della somiglianza con un personaggio del film Qualcuno volò sul nido del cuculo. Soprannome quanto mai azzeccato, visto che la sua presenza in campo si faceva sentire, un po’ per la stazza imponente ed un po’ per la capacità unica di rendere semplici anche le giocate impossibili e per l’eleganza dei suoi tiri in sospensione.

I grandi del basket, Pete Maravich

In dieci anni di carriera tra i professionisti non è mai riuscito a salire sul tetto del mondo, ma Pete Maravich si è guadagnato comunque sul campo il diritto di accesso nella cerchia dei migliori del basket americano. Per su sfortuna non giocò mai in squadre ambiziose, sia a livello universitario che nella NBA, ma il suo nome riecheggia ancora oggi nei palazzetti di mazza America, quando si parla di gioco spettacolare, classe sopraffina e capacità realizzaiva con pochi eguali nella storia.

Pete Maravich infiammava i cuori dei tifosi già ai tempi del college, quando alla Lousiana State University infilava una serie impressionante di canestri nella squadra delle matricole. I 50 punti di media a partita mettevano in serio imbarazzo la squadra titolare, ma anche i sostenitori della regola che impediva alle matricole di giocare con i “grandi”.

Ma per Maravich venne il tempo di debuttare in prima squadra, come medie che sfioravano i 45 punti a partita (44,2 per la precisione), che lo portarono ad un totale di 3.667 punti in soli tre anni. Un record per NCAA, se si considera che all’epoca non esisteva il tiro da tre.