Lockout Nba, il corteggiamento di Sergio Scariolo, l’accordo senza bisogno di perdere tempo. Stretta di mano, intesa raggiunta. Per Danilo Gallinari il ritorno a Milano somiglia alla rimpatriata di un figlio assente da casa da un paio di anni. Nella valigia metto: spazzolino, snickers, l’iPad, quel pezzo di Detroit che mi piace tanto e poi.
Poi, nel bagaglio del Gallo, una fame grande così. In barba alla serrata, ai Pistons, alle luci a effetto di un’America che ora sta lì. Lontano sette ore di volo, una vita fa. Una fame che verrebbe da renderla manifesta con quel disegnino di una mela appena morsicata, un’America appena sveglia. Il primo giorno senza Steve Jobs. Danilo lo ha scoperto in mattinata: come la maggior parte di noi, come la quasi totalità dei quotidiani, finiti in stampa senza aver riportato la notizia. Tutti, tutti meno uno: e allora, per una tempestività simile e la riflessione che ne valesse la pena nonostante il costo dispendioso, al Corriere della Sera vanno fatti i complimenti. Erano le due di notte, nella penisola. E anche Danilo, forse, dormiva. Adagiato con il senso di fame che si alimenta giorno dopo giorno. Allenamento su allenamento. Come se fosse ancora lì, sballottato nella costa occidentale degli Usa a dimostrare di potercela fare.
“Siate folli”, avrebbe detto Jobs. E quel figlio meneghino, capace di fare ombra – per la maestosità fisiognomica – quanto le guglie del Duomo, folle lo è stato per davvero. Credere, sudare, provare. L’Armani Jeans, nella fase adolescenziale, era un sogno da coltivare. Rimbalzo su rimbalzo su rimbalzo. E a furia di rimbalzi, poi finisce che diventi grande. L’Armani Jeans, a distanza di pochi anni, era già una certezza consolidata. E a quel punto servivano altri sogni, altri obiettivi.
“Siate folli”, ha ripeturto per una vita Jobs. A se stesso, ai giovani. E quel giovane con la faccia pulita, i tratti somatici gentili, piedi lunghi così. Lui folle non ha mai smesso di esserlo. New York e Detroit, a distanza di pochi mesi. Un sogno messogli tra le dita e lui. Spam, schiacciata in faccia ai pessimisti. Agli scettici. Spam, a canestro con una mano a segnare il +2. Altro che l’America, se finisci per averla. Non ti basta più nemmeno quella.
“Siate folli”, ripete il popolo dell’iSad richiamando alla mente Steve Jobs in un giorno di ordinaria follia. Era oggi. Passa il tempo, era ieri. Giusto così. E il Gallo visionario, proprio poche ore fa, lo ha dichiarato a voce portentosa:
“Ma chi ci pensa all’Nba. Io sto bene qui, a casa mia”.
Casa sua, Milano. L’arrivo a sorpresa, il bagaglio, gli obiettivi. Nella valigia metto. Una mela appena morsicata. “Siate affamati”, avrebe continuato a ripetere Jobs. E Danilo, in un giorno di straordinario appetito, ha voluto manifestarlo ad alta voce. Follia e fame, così tanta follia e tale fame da sembrare un omaggio indiretto al genio dell’iPad. Gallinari oggi ha parlato. Per mettere paura a Siena, per ridimensionare Cantù, per rivendicare una scelta mai rimpianta. Di nuovo a casa. Per lanciare il guanto di sfida.
“Dobbiamo vincere – ha cantato il Gallo – e portare qualche scudetto in bacheca, non dobbiamo pensare a Siena o a Cantù, dobbiamo pensare a noi stessi. Lavorando bene i risultati verranno”.
Altro che strapotere toscano, chissenefrega di quelli con la pancia piena. Fame e follia alle porte della prima di campionato: Milano se la gioca in serale tra le mura amiche del FilaForum. Di fronte, Varese:
“Sarà una partita particolare, un pò di emozione, sì; poi andrà via perchè bisogna vincere, c’è voglia di portare a casa la vittoria. È una situazione nuova: per me, per i compagni e per l’allenatore. Sia io che il coach la gestiamo bene, gli altri giocatori mi hanno accettato subito nel gruppo, sono dei ragazzi super, stiamo lavorando al meglio”.
Altro che lockout: fame e follia.
“A ogni riunione succede qualcosa di diverso. Mi ritengo fortunato per questa opportunità. Penso a tutto tranne che all’Nba”.
A tre passi da casa, due giorni dal debutto, un piede dentro l’ennesima follia. Insana come le cose che nascono dalla pancia. E lucida. Lucida al pari delle decisioni che non si rimpiangono mai più. Poi, affine. In un giorno di disordinata anomalia, tanto affine al liet motiv che prevarica da 24 ore qualunque altra insinuazione.
“Siate folli”, redarguiva Jobs con chilogrammi di esperienza personale ad avvallarne le affermazioni. Sfidare a viso aperto il cannibalismo della Montepaschi, mandare al diavolo il paradiso dei cestisti, dare da mangiare a una bacheca che riuscivi a sentire i brontolii di stomaco anche dalla cima dell’Nba. E vada come vada, chissenefega. Il Gallo ha cantato. Di fame e follia non si muore, semmai. It works, Steve Jobs. Funziona che non vedo l’ora.