Uno lo ascolta, e non ci crede. Lo ripete tra sè e continua a non crederci. Allora, come si fa a riportare per inciso qualcosa a cui non riesci ad abituarti nemmeno col pensiero? Viene il magone, diventa dispiacere, poi rabbia. Perchè euro su dollaro, la solfa resta la stessa: cent’anni per costruire, una 24 ore con denaro cash per distruggere. Ragazzi, mentre l’Nba è ferma in attesa di un contratto nuovo, i Nets non esistono più. Gente!
E non perchè siano spariti davvero – in realtà ci sono ancora – ma non saranno mai più i vecchi Nets del New Jersey con cui quelli come me sono cresciuti. Non ho mai fatto il tifo per loro, vero, ma ricordo per filo e per segno tutte le volte che gli ho fatto il tifo contro che potrei dire di averli nel cuore uguale. Contro Boston, Los Angeles, contro Michael Jordan (perchè Chicago no, non l’ho mai sentita dentro se non per l’amore smisurato nei confronti del più grande talento realizzativo del basket mondiale): ricordo quelle canotte nere con riga bianca che diventavano all’occorrenza canotte bianche con bordature nere e la scritta a caratteri cubitali a far da collante tra un estremo e l’altro del petto. NEW JERSEY, ricordo. Ma ricordo anche d’avervi letto solo Nets.
Allora: per uno come me, che con i ricordi ci vive dalla notte dei tempi, togli dal mazzo New Jersey (ma le canotte rosse con scritta bianca? E quelle blu?) ed è come se gli avessi sfocato un ricordo. Quant’è brutto dimenticare, con il tempo, quel che ricordi?
I Nets sono da sempre di New Jersey. E New Jersey è sempre stata New Jersey. Perchè spuntava sempre fuori da qualche parte l’amico che andava a far visita a un parente a Trenton, appunto nel New Jersey, mentre i tuoi natali e le pasque trascorrevano al massimo duecento chilometri più in là di dove dormivi tutti i giorni.
E poi, sempre lei, non passava draft che New Jersey – chissà come chissà perchè – sbagliava sempre: se tra gli Ottanta e i Novanta le è successo di azzecccare un solo cestista non dico eccelso ma almeno da sufficienza piena, credo sia stato un mezzo miracolo.E comunque, dopo i tempi di Otis Birdsong e Micheal Ray Richardson e fino a quelli di Jason Kidd, non me ne ricordo uno, di Nets che mi abbia particolarmente entusiasmato.
Jason Kidd.
I numeri, nel basket che conta, raccontano una storia che sarebbe solo da mettersi lì. Comodi, lunghi e distesi per sentirsela sussurrare. Allora, il 5 tatuato su un drappo con su scritto New Jersey è una di quelle storie che nella vita – la mia – sono entrate così. Come ci si è infilata la passione per il basket. Jason Kidd, il più nero tra i bianchi per propensione alla pllacanestro che – UOMO SOLO JASON KIDD – provò a sfidare quegli assatanati di Shaquille O’ Neill e Kobe Bryant quando si scambiavano i ruoli di celebrità e guardiaspalla. Prima l’uno poi l’altro.
Jason Kidd. Indifferenza per i Nets ma quandoc prendeva palla Kidd era come immedesimarsi, sognare, soffiare sul pallone che aveva appena accarezzato perchè finisse dentro. Il 5 indelebile erano le levatacce in cui la sveglia suonava e iniziava la finalissima. Gara 1, la 2, alla 3 i Lakers erano già con una manona e mezza sul titolo, alla 4 hanno fatto festa. Abbiamo fatto festa. Mentre New Jersey pareva di pietra, di marmo. E di quella pietra, di quel marmo non te ne poteva fregar di meno che tanto, i Nets, chi li ha mai tifati. Invece, putacaso ora, New Jersey svanisce così: la squadra si trasferisce a Brooklyn.
Ed è come se, di puntoin bianco, arrivasse qualcuno a cancellare dall’atlante il nome, la città, la storia. I miei ricordi. Che poi, è di questo che si parla: e quant’è brutto dimenticare, con il tempo, quel che ricordi? Osservare il Prudential Center è sempre significato sentirmi in trasferta: chi li ha mai considerati, i Nets. Invece adesso ripenso alla postura statuaria di Kidd, al genio di Dražen Petrović che ho conosciuto in ritardo (e Julius Erving? Vogliamo parlarne?), penso a cosa potrebbe passare – adesso – nella testa di Bruce Springsteen (che è del Jersey) e se tutta questa tristezza la renderà mai in musica. La sua musica per la mia tristezza. Come al Boss è riuscito spesso di fare senza che nemmeno lo sapesse. Uno Stato in miniatura, New Jersey, grande amalapena come la Toscana. Dal Jersey a Brooklyn, PARE UN ATTIMO. Invece, in quell’istante ti accorgi che qualcosa cambia: come se portassero, d’improvviso, quella cozzaglia di ferri del ponte di Brooklyn nel New Jersey. Togli un collante, hai tolto l’anima. E poi, poi.
Il tempo di mettersi a ricordare, ed è come se ti stessero sfocando un ricordo. Quant’è brutto dimenticare, con il tempo, quel che ricordi? E chissà. Chissà se lo custodirò per sempre qui che io, in fondo, non ho mai fatto il tifo per i Nets. Ma i Nets, da che mondo e mondo, son sempre stati New Jersey. Soprattutto quando non riuscivano a mettere in fila due vittorie consecutive ma anche quando tornava l’amico con i parenti a Trenton ed era vestito made in Usa mentre i tuoi natali e le tue pasque erano trascorse lì, a un centinaio di chilometri da casa, con per ricambio il giusto indispensabile. E rabbia misto a invidia ti portavano a pensare che tanto tu, per le retine del New Jersey non avresti fatto il tifo. Mai.