Il MVP della stagione prende anche 18 rimbalzi e guarisce gli Heat che ringraziano anche Wade e Haslem e tornano in casa sul 2-2. Fuori con onore i Clippers di Chris Paul. LeBron è uscito dal campo soddisfatto col suo braccione d’oro al collo di Dwayne Wade. Tutto è bene quel che finisce bene. Al diavolo le provocazioni di Frank Vogel per il quale Miami è solo una formidabile compagnia di cascatori.
Al diavolo la perdita di Chris Bosh, al diavolo la mania di Erik Spoeltra di voler cambiare ogni volta quintetto per ritrovarsi al punto di partenza, perché Turiaf non è un centro e Shane Battier come ala forte è un disastro. Al diavolo anche le tattiche e i pronostici. Il basket premia chi segna di più, la coppia LeBron-Wade fanno 70 in due e nel momento più delicato della stagione, con Indiana in vantaggio di 2-1 e nettamente dopo due tempi di gara4, LeBron onora il terzo titolo di MVP con una mostruosa tripla (anche se in verità gli manca un assist): 40 punti,18 rimbalzi, 9 assist, 2 recuperi, 2 stoppate. E in più il sostegno offerto alla squadra come lucidità, lettura del gioco, e personalità quando sotto 51-61 nel 3° quarto ha preso il comando delle operazioni, e con un 25-5 Indiana è stata travolta subendo i 100 punti fatidici. Andranno a ruba le magliette celebrative del trofeo che permette al figlio di una poverissima signora di Akron di entrare fra gli immortali del basket anche se gli manca almeno un titolo. Ci piacerebbe adesso ribattezzare LeBron “Doctor L”, come Julius Erving leggenda dei Sixers anni Settanta.
Perché questo omone col fisico da giocatore di football dotato di un’agilità straordinaria e due piedi da ballerino, oltre a giocare per tre è riuscito a scuotere anche Dwayne Wade, il compagno un po’ introverso, dopo la precedente serataccia nella quale aveva segnato solo 5 punti bisticciando anche col suo coach. Perciò l’uscita solenne del duo dall’Arena di Indianapolis dove persino il proprietario degli Heat non aveva nascosto ai propri tifosi le scarse speranze di rimonta ha il significato del rafforzato spirito di squadra che permette ai vice-campioni della NBA di sperare ancora, anche se in un playoff prestazioni individuali di questo livello non sono facili da ripetere. Indiana sul più bello si è incartata da sola, non ha costruito giochi per dare la palla dentro al suo centro Hibbert che ha finito per incartarsi.
Miami si è dunque messa nelle mani magiche delle due superstar che hanno segnato 70 punti tirando sopra il 50 per cento in trasferta, ma la piacevole sorpresa sono stati i 14 punti di Udonis, per cui in 3 hanno segnato quasi quanto tutti i Pacers. Onore ad Haslem, un grandissimo atleta e lavoratore protagonista di azioni decisive, al punto che mi sento di considerarlo il match winner, considerato anche l’atletica ed vigorosa front-line di Indiana che non solo non ha colto il messaggio del suo allenatore a lavorate duro sulla difesa e ai rimbalzi ma sprecato una grande occasione. Ormai convinta forse che bastasse una partita nomale per mettere fuori Miami senza Chris Bosh e il vantaggio ai rimbalzi, mentre non è stato così perché i 18 palloni catturati da LeBron hanno ribaltato sorprendentemente la situazione, 47 contro i soli 38 dei Pacers. E questo fattore ha prodotto anche il vantaggio di maggior sicurezza al tiro, con un buon 47,5 totale considerata l’atmosfera di questo match , mentre è stato eccellente il 41,7 dall’arco notoriamente il tallone d’Achille di questa squadra capace di giocare a folate, sui cambi di ritmo, sull’atletismo e non sull’attacco a difesa schierata.
Intanto per altre vie, il pick and roll con un grande direttore d’orchestra come Tony Paker e 10 giocatori nelle rotazioni per tenere alto il ritmo e la difesa, con un doppio successo in 24 ore sul campo dei Clippers San Antonio è la prima squadra ad arrivare alla finale dell’Ovest. Il 18° successo consecutivo, e l’8-0 nei playoff (cappotto per Utah e Clippers) significano un maggior credit e un bonus importante da spendere nel recupero fisico contro Oklahoma che stanotte in casa dovrebbe chiudere la partita con i Lakers perché ha dalla sua la gioventù, il magic moment e una panchina più forte per tamponare la falla del centro.
Con Paul e Griffin ammirevoli, considerati i problemi fisici che si trascinano da tempo, i Clippers che la notte precedente avevano sprecato i 22 punti di scarto del primo quarto, non hanno saputo gestire bene stavolta le ultime due azioni, problema di stanchezza e qualità della difesa nei cavalieri neri texani. Con 2 liberi di Paul, i Clippers sono arrivati a 1 punto (99-100), poi il folletto (184) soffiato ai cugini dei Lakers , considerato un maghetto nei finali di gara è stato capace di segnare un canestro da Guinness (lanciata la palla a campanile, ha danzato sul bordo del tabellone ed è entrata) ma per due volte,ben marcato da Danny Greer ,è stato intrappolato dentro l’area. Nerlla prima non è riuscito a tirare e dato fuori la palla, poi dopo un libero di Greer (99-101) nell’ultima azione, sempre sotto lo stretto controllo di Greer, è andato corto in sospensione dentro l’area. Sul rimbalzo la palla è arrivata a Parker che subito il fallo da Caron Butler ha segnato il secondo tiro libero, 99-102.
Si è trattato della vittoria più stretta della serie coi Clippers, e terza vittoria su 4 gare sopra i 100, esattamente come nella serie dei quarti contro Utah. E quindi quello degli Spurs è il miglior attacco che per 6 volte su 8 hanno superato i 100 punti.
Decisiva ancora una volta la panchina di San Antonio, anche se quella dei Clippers ha mostrato ancora i progressi della trottola Eric Bledsoe (18 punti), molto simile come gioco al “senese” McCalebb. I sudamericani Ginobili e Splitter hanno portato 11 punti a testa, il centro brasiliano ha dato fiato a Tim Ducan, il migliore della squadra, mentre Gary Neal, ex capocannoniere della Spaghetti League in maglia Benetton ha segnato 14 punti in 14 minuti, anche questa impresa non di poco conto.
“Per tutta la stagione abbiamo vinto grazie al contributo di molti giocatori, speriamo di continuare così. E Splitter per noi è stato importante quanto una prima scelta”, ha commentato Gregg Popovich il guru degli anni d’oro degli Spurs che rivivono nel gioco e nello spirito di questa formazione cosmopolita, in cui gli americani sono in minoranza rispetto agli stranieri provenienti da tutti i continenti: i due starters francesi Parker e Diaw (che però ha sangue senegalese, figlio dell’ex triplista olimpico Issa Diaw), il centro caraibico Tim Duncan, l’argentino Manu Ginobili ex Virtus Bologna, il brasiliano Tiago Splitter, l’aborigeno Patty Mills e il canadese Corey Joseph.
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